Pubblicato su Il Consulente Re on-line di Aprile 2011
Dal 6 all’8 Aprile Assogestioni, la Confindustria dei fondi italiani, ha organizzato all’Università Bocconi di Milano il secondo “Salone del Risparmio”, occasione propizia non solo per fare il punto sulla gestione del risparmio degli italiani da parte degli istituti preposti, ma soprattutto per effettuare un sondaggio sulle abitudini finanziarie dei piccoli risparmiatori di casa nostra.
Al centro della manifestazione non solo le consuetudini – vizi e virtù – di investitori e risparmiatori, ma anche le tendenze che informeranno il mercato del risparmio nei prossimi anni; un’analisi di medio termine era infatti suggerita già nel titolo dell’evento: “Opportunità d’investimento nel prossimo decennio”.
Il fatto che, in tempi di crisi economica non ancora superata, si porti all’attenzione del grande pubblico il tema del risparmio costituisce di per sé una notizia. Ma le rivelazioni controintuitive affiorate dai diversi interventi che hanno animato l’evento non sono mancate: si è saputo, ad esempio, che le ricchezze finanziarie detenute dalle famiglie italiane ammontano ad oltre 3.500 miliardi di Euro, vale a dire quasi il doppio del nostro PIL; di questa fortuna, tuttavia, solo 1.000 miliardi sono impegnati a lungo termine in fondi d’investimento, strumenti di previdenza integrativa e polizze di vario genere. E’ come dire che meno di un terzo di quel che risparmiamo contribuisce ad alimentare gli investimenti produttivi dell’industria italiana, o ad assicurare la miglior tenuta di un sistema previdenziale notoriamente in dissesto.
Siamo quindi un paese di formiche, che tuttavia non ha ben chiaro che cosa farsene di quanto faticosamente raggranellato. Deteniamo questo record negativo, in Europa, in compagnia della sola Spagna.
Come investono allora gli italiani il cospicuo gruzzolo del proprio risparmio? Soprattutto in bond, titoli di debito sulla ricchezza finanziaria – per lo più emessi da banche – ma anche in un piccolo oceano di depositi liquidi, per loro natura scarsamente produttivi. Siamo poi campioni negli investimenti immobiliari: il mattone detenuto nel Belpaese dal settore famiglie raggiunge quasi il 60% del prodotto interno lordo, mentre Francia e Germania si assestano al 40% circa, e gli Stati Uniti si accontentano del 30%. Si tratta anche qui di un retaggio culturale tipicamente italiano, secondo cui la solidità dell’immobile è da privilegiare rispetto alla “volatilità” di investimenti in settori più dinamici, legati al sistema della produzione industriale o della previdenza sociale. E’ uno schema solo in parte virtuoso, che può anche averci tenuto al riparo dalle conseguenze più catastrofiche della crisi economica tutt’ora in corso, ma che non ci aiuterà di certo a ripartire con lo sviluppo economico e quindi con l’occupazione.
E’ perciò necessario spingere gli italiani a riallocare, più sapientemente, le risorse risparmiate; tanto più che dal 2007 ad oggi la propensione al risparmio – cioè la parte di reddito non consumata e quindi accantonata – è scesa di circa un punto percentuale, attestandosi al 13%.
Occorrerà stimolare il settore famiglie a farsi carico del sistema produttivo e del mondo della previdenza e delle assicurazioni. Per riuscire in questo intento – ha rilevato Domenico Siniscalco, presidente di Assogestioni e quindi patròn dell’evento – bisognerà implementare la connessione, ad oggi labilissima, tra risparmio e mercato. Sarà quindi necessario potenziare il ruolo dei diversi fondi che si fanno carico di raccogliere ricchezza, attualmente improduttiva, per farne il motore dell’economia di domani. Questi molteplici tesoretti di risparmio rappresentano l’unico trait d’union possibile tra mercato e famiglie, e dovranno esser promossi soprattutto a cura delle banche, ma anche di altri organismi istituzionalmente deputati alla gestione in comune del risparmio, come le ormai note SGR, delle quali spesso, e non a caso, le banche stesse sono le principali azioniste.
Le buone intenzioni non saranno tuttavia sufficienti a modificare le abitudini di allocazione del risparmio degli italiani, se non saranno sostenute, sul piano economico, da performance meno deludenti dei nuovi strumenti d’investimento messi a disposizione dal mercato: nessuno infatti investirà un solo Euro, in un fondo di gestione, finché questo non gli garantirà degli interessi competitivi con quelli che assicurano attualmente i bond, i titoli del debito pubblico e persino il mattone.
Per ottenere il risultato auspicato si è proceduto, quanto meno, alla rimozione degli ostacoli più macroscopici all’effettiva convenienza dell’allocazione del risparmio in fondi produttivi: il decreto mille proroghe prevede infatti che dal prossimo primo Luglio l’aliquota d’imposta sia applicata al sottoscrittore di una quota dei fondi al momento della liquidazione – come già avviene per tutti i fondi esteri – e non al maturare degli interessi, come accade tutt’ora in base alla normativa ormai corretta. Ciò per quanto riguarda il fronte dei risparmiatori, cioè l’offerta di ricchezza accantonata; per quanto concerne invece l’incentivazione della domanda del risparmio, è stata lanciata al Salone di Milano la proposta di offrire alle Società di Gestione che decidessero di stabilirsi e operare in Italia, la facoltà di optare per un sistema impositivo a scelta tra tutti quelli a disposizione in uno dei Paesi dell’Unione Europea. Una sorta di shopping dei regimi fiscali, insomma, teso ad incoraggiare le SGR attualmente operanti all’estero a venire a lavorare in Italia, avendo la garanzia di poter scegliere un sistema fiscale di favore.
Gli sforzi normativi a tutela del mercato del risparmio – e conseguentemente degli investimenti – non basteranno, però, ad incidere sui vizi dei risparmiatori italiani se non si investirà, in futuro, nella loro educazione finanziaria: il Salone del Risparmio si preoccupa, non a caso, di portare a conoscenza del grande pubblico i nuovi canali di risparmio e d’investimento, affinché ciascuno percepisca la responsabilità, ma anche l’orgoglio, di cooperare nel suo piccolo allo sviluppo economico della nazione.
Marco Giorgetti