Non fosse per
l'invenzione simbolica dei fisici, il presente non esisterebbe. Passiamo metà
del nostro tempo a rimpiangere il passato, l'altra metà a sperare nel futuro. Non
ci sarebbe motivo di concepire la nozione di 'presente' se quest'attimo che già
mi sfugge non servisse a ricordarmi che l'ho scelta, la condizione del
funambolo.
Sospeso tra le
responsabilità di ieri, per le quali non mi assolvo, e le speranze riposte nel
domani - colpa ulteriore, che non mi è imputata giacché sono, rispetto al
futuro, incapace di intendere, benché non mi astenga dal volere - mi sono
accorto dell'inganno del presente dinanzi all'attuale diluvio di morti per
suicidio.
Farla finita è azione da
filosofi, il perpetuarsi del presente suona disumano alla mente del poveruomo. Non
ripianare i debiti, non riconquistare l'amore, non rialzarsi dalla depressione:
tutte condizioni para-noiche, che assomigliano all'eterno ritorno dell'uguale,
figura dotta di gusto decadente. Nella ciclicità, piuttosto, spera
l'agricoltore nella propria saggia credulità: la sua vita non è che un'attesa
senza fine, in barba al mistero del presente.
Non fosse per
l'invenzione simbolica degli economisti, non avrebbe ragion d'essere neppure la
nozione di debito, proprio come accade per il concetto di ‘presente’ e l’inganno
della ‘proprietà’.
Il soggetto dell'esistere,
la vittima del terrore di morire, l'uomo, questo uomo. Egli solo può trovarsi
alle prese con l'attimo che sfugge, con questo scorrere allegorico, in
nulla differente dal flusso di cassa che si colma e tracima senza riuscir più a
coprire le spese.
Non abbiamo il presente,
cioè non possediamo noi stessi. Speriamo in un futuro incerto, nel quale saremo
tuttavia protagonisti di una storia contraddistinta dal sigillo del riscatto, e
scommettiamo perciò su un'identità immaginaria. Ecco come muore l'uomo, di
obesità, rigonfio di un sé che non esiste. Un giorno ti guardi allo specchio e il
panico ti assale: che il presente possa ripetersi, per sempre, come si mostra qui,
qui ed ora? Ti riconosci e ti uccidi.
Viviamo di nulla e moriamo
per poco. Beato chi saldo nel presente, che pure non c'è, si fa beffa
dell'identità che lo imprigiona, del sé che lo attanaglia: così è di colui che
ama un umano soltanto, di chi perde la propria ombra donandola ad un'altra
ombra soltanto. Non è studio di quantità, lavoro di pesa e di misura, il gioco
paradossale della resurrezione: sopravvive chi, naufrago, abbraccia nell'altro
naufrago la sua stessa perdizione, chi spalanca gli occhi nelle tenebre del
nulla, chi assedia la speranza, vana, con l'esercito rumoroso dell'allegria.