Oscar Luigi Scalfaro. Non mi è stato simpatico proprio mai. Non ho amato i suoi ribaltoni, la legge sulla par condicio e il suo stile democristiano: dalla campagna contro il divorzio a certi episodi che ne delineano il profilo di cattolico un po’ bigotto.
Non mi piace nemmeno la sua biografia, il suo esser stato prima magistrato, sotto il fascismo, poi partigiano e comunque, sempre, anticomunista per ragioni religiose; il che non gli ha impedito, ad ogni modo, di passare alla storia come uomo di sinistra. Tutto ciò la dice lunga sulle sue capacità di sfuggire sempre agli schemi, di sottrarsi alle definizioni: e questo, secondo me, è un gran difetto per un politico.Tuttavia, ritengo che si possa dire tutto il peggio di un personaggio pubblico, ma non quando questi muore. Lasciate che vi confidi che cosa penso, ad esempio, di quanto è stato scritto intorno a Scalfaro su “Il Giornale” in occasione della sua morte: sono state critiche e giudizi volgari e squallidi.
Un politico si può biasimare e criticare finché è in vita, per tentare di correggerne i difetti e sottrargli consenso; si può riprovare e accusare pure a qualche anno dalla morte, per rispolverare la verità sul suo conto e consegnarla alla storia. Ma quando un politico muore ha il diritto di esser riguardato, almeno per qualche giorno, semplicemente come uomo. La nostra società rischia altrimenti di dimenticare che cosa sia la pietas, la stessa virtù che ci consiglia di rendere onore ai defunti, e di non vilipendere enti inanimati, eppure quasi sacri, come i cadaveri e la bandiera; e anche, sia detto per inciso, di non abbandonare i nostri padri negli ospizi.
Perciò, mentre un coro triviale di giudici impietosi si leva ad infierire sulle spoglie di Scalfaro, io che pure sono sempre stato critico nei suoi confronti, lo ricordo così: se ne stava in piedi, in fondo alla navata di sinistra, alla messa delle dodici e mezza presso la Chiesa del Gesù. Tutti i giorni. Non so che fede avesse, ma non posso dimenticare il suo contegno dignitoso nel prendere la Comunione, mai per primo né per ultimo, quasi per non dare nell’occhio. Un istante dopo la benedizione, abbandonava la cripta delle celebrazioni, e si rifugiava nella cappella del Santissimo per qualche istante di ringraziamento. Lo incrociavo spesso nella navata centrale, mentre entrambi ci dirigevamo verso l’uscita; mi salutava per primo, particolare che a volte quasi mi commuoveva, ammonendomi sulla necessità di non giudicare mai gli uomini, di riferirne per quanto possibile i pregi, di esaltarne le virtù e di chiudere un occhio sui difetti.
Oscar Luigi Scalfaro, il politico, non mi è stato simpatico proprio mai; tuttavia oggi rimpiango il mite vecchietto che per anni ho incontrato ogni giorno alla messa della mezza, presso la Chiesa del Gesù, e che non mi dava mai il tempo di salutarlo per primo. Riposi in pace, anche in beffa alla misera ostinazione dei giornalisti.
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