"C'è la bellezza e ci sono gli umiliati.
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sabato 1 gennaio 2011

"La costituzione materiale, questa misconosciuta"

Pubblicato su "Il Consulente Re" on-line di Novembre 2010



Fino a qualche mese fa si parlava in continuazione di “costituzione materiale”. Pregiato strumento concettuale concepito dalla nostra migliore dottrina costituzionalista, quest’espressione veniva utilizzata dai politici a mo’ di orpello dialettico – esibito in contrappunto alla nozione di “costituzione formale”, cioè quella scritta – utile, alla bisogna, ad accreditare pratiche irrituali, e persino ad affermare l’avvenuta cristallizzazione di fantomatiche consuetudini contra legem.    

Anche in democrazia, del resto, la politica si serve dei propri mezzi come può, talvolta con lungimirante virtù, talaltra con egoismo miope, badando soprattutto al proprio tornaconto, come se le sorti di chi governa potessero prescindere dal pubblico consenso. A volte proprio l’origine democratica della legittimazione del potere può favorire il diffondersi di quell’ipocrisia di Stato che va sotto il nome di demagogia. E non c’è demagogia che non contenga un pizzico di populismo, perché i desideri e i malumori dell’elettorato sono spesso suggeriti – o addirittura indotti – dalla stessa classe politica, che dovrà poi far mostra di saperli interpretare. Questa rischiosa deriva dei sistemi democratici si manifesta sovente attraverso l’utilizzo improprio, all’interno del dibattito pubblico, dei concetti giuridici fondamentali: soprattutto dei concetti teorici, giacché intorno al diritto positivo i margini di manovra risultano inferiori, tra l’altro grazie a meccanismi di garanzia indipendenti dal potere politico – e le ragioni di tale indipendenza si comprendono meglio proprio in quest’ottica.
Ma poiché l’incombente attualità di questi temi espone chi li affronta ad un invincibile sospetto di faziosità – così tra l’altro sottraendo vigore all’intero ragionamento – lasciamo da parte i profili politici del problema, e veniamo subito agli aspetti giuridici.

Costantino Mortati e la costituzione in senso materiale 

La promulgazione della Costituzione
La nozione di costituzione materiale è dovuta all’elaborazione di Costantino Mortati (1891-1985), insigne costituzionalista italiano, tra l’altro membro dell’Assemblea costituente e della Commissione dei 75, incaricata, all’indomani del referendum del 1946, di elaborare il progetto di Costituzione repubblicana. Precursore di un approccio dinamico al fenomeno giuridico, che costituirà la cifra del costituzionalismo del ‘900 – mai più, successivamente, si analizzerà un testo costituzionale a prescindere dal contesto politico e sociale nel quale esso è destinato a trovare concreta applicazione –  Mortati già nel 1940, ne “La costituzione in senso materiale”, accredita un ideale di Carta Costituzionale da costruire ed interpretare come rappresentazione formalizzata dei rapporti di potere effettivamente esistenti tra i diversi attori sociali, quali i partiti, la magistratura, i sindacati, le associazioni dei datori di lavoro, le istituzioni religiose e le organizzazioni laiche. Tramontato il monopolio sulla politica esercitato dallo Stato liberale – modello a suo tempo teorizzato dai vari Machiavelli, Bodin e Hobbes, uno schema che per alcuni versi ripeteva gli stilemi del pensiero aristotelico, per il quale pòlis e politica risultano inseparabili – Mortati si preoccupa di riuscire a formalizzare adeguatamente il possibile scollamento tra legge scritta e legge applicata – il cosiddetto diritto vivente – tipico di una società in cui il conflitto sociale risulta esteso a tanti e diversi attori, ciascuno dei quali è in grado, benché in diversa misura, di far sentire le proprie ragioni, riuscendo potenzialmente ad incidere sul nuovo rapporto di forze che sortirà da ciascuno scontro. A ben guardare, infatti, anche nuove leggi, una nuova giurisprudenza, un nuovo contratto collettivo o nuovi atti dell’esecutivo possono configurare una costituzione inedita dello Stato – una costituzione di fatto, com’è ovvio – teoricamente la più distante e scollegata dal testo della Costituzione scritta.

La complessità nell’ordine democratico: la costituzione come cantiere
La causa profonda di un siffatto pericolo coincide tuttavia con il principale pregio di una costituzione realmente moderna, e cioè con la sua effettiva capacità di dare attuazione al principio democratico, garantito dal dogma della separazione tra i poteri. A conferma di ciò si può notare che il meccanismo, ben più schematico, dello Stato liberale funzionava egregiamente all’interno di un’organizzazione statuale nella quale il potere politico era appannaggio esclusivo di una sola classe sociale, la quale spesso reggeva lo Stato dopo averlo in qualche modo eretto con le proprie mani, ad esempio attraverso una rivoluzione.
La democrazia, in sostanza, importa complessità; essa addirittura riposa su questa complessità, poiché la logica inclusiva, intrinseca ad ogni dialettica sociale, genera già sul piano quantitativo il moltiplicarsi delle voci legittimate a partecipare; per non dire della macchinosità degli strumenti necessari a governare lo svolgersi del dibattito, indispensabili affinché il dialogo non si trasformi in sterile baccano.    
Secondo questo criterio evolutivo, la Costituzione non è tanto la madre di tutte le leggi, ma piuttosto la figlia dello stato di fatto capace di produrre un cambiamento della costituzione materiale, rivelando che i gruppi d'interesse meglio rappresentati dalla Costituzione scritta sono divenuti ormai incapaci di difendere la “loro” Costituzione. Si tratta di uno sguardo sul fenomeno costituzionale assai innovativo e disincantato, del quale tuttavia non si possono negare le indubbie qualità euristiche.

Fenomenologia e funzione del partito politico: la socializzazione dello Stato
Si può dire che allorché l’unità politica non fu più intrinseca alla statualità – perché, come detto, non più garantita da una sola classe sociale egemone, che era riuscita ad affermare come costituzione il suo progetto di società – fu necessario costruirla a partire dalla società, cioè dall’esterno dello Stato, perché quest’ultimo non era più l’unità politica, ma un mezzo per realizzarla. Ed ecco, allora, che secondo la teoria della costituzione materiale di Costantino Mortati, il partito costituisce il centro extra-statale di aggregazione delle istanze sociali, e perciò, al contempo, organismo di semplificazione e di direzione politica. La costituzione materiale risulta perciò definibile come un’unità raggiunta attraverso la vittoria di una parte degli interessi sociali su tutti gli altri; essa incarna l’ideale del solo partito politico dominante. Ebbene, l’integrazione, resa possibile dall’azione dei partiti, tra istanze sociali e indirizzi politici della nazione, genera quella socializzazione dello Stato che costituisce la nota distintiva e la principale innovazione della speculazione del Mortati.

La costituzione nel suo sviluppo dialettico
Secondo questo approccio, il concetto di costituzione materiale – ben lungi dal costituire un polo conflittuale che minacci continuamente d’insidiare il vigore della Costituzione scritta – vale a descrivere, probabilmente assai meglio di ogni altro, il faticoso percorso dialettico attraverso il quale la Costituzione in senso formale trova attuazione. La vita di un testo costituzionale è infatti un percorso accidentato, le cui fasi risultano tutte caratterizzate dal sigillo della opposizione – poiché l’ordine ideale che essa descrive a parole necessita, dopo esser stato concepito, quasi di un nuovo parto, non meno faticoso, per incarnarsi nelle strutture dell’ordine sociale.
Una Costituzione sarà interpretata, permeerà di sé l’intero ordinamento statuale e finirà un giorno per manifestare qualche crepa, qualche insufficienza; oppure sarà necessario mettervi mano semplicemente per restaurarla, onde riportarla, come si suol dire, “al passo con i tempi”. E giacché una Costituzione riformata, quanto al suo aspetto esteriore, altro non è che una nuova Costituzione in senso formale, si comprende, finalmente, che la costituzione materiale è semplicemente la Costituzione applicata, la stessa Costituzione formale che nutre dal proprio interno ciascuna delle strutture dello Stato, conferendo loro armonia ed unità.
Alla fin fine, gli aggettivi “formale” e “materiale”, applicati ad una costituzione, non indicano due momenti logicamente o cronologicamente distinti della sua esistenza, ma piuttosto due diversi aspetti della sua natura. Per comprendere appieno tale distinzione sarà utile far riferimento alle famose quattro cause di Aristotele: tra di esse, come si ricorderà, figurano per l’appunto la causa formale e la causa materiale, e si ricorderà pure che ciascun ente della realtà ha bisogno di entrambe per essere quel che è. Ad esempio la statua di Apollo – per evocare il classico esempio che si faceva al liceo – è composta tanto dal marmo, che ne costituisce perciò la causa materiale, quanto dalla figura complessiva del dio delfico. La sola immagine del dio greco resterebbe una pura idea se slegata dalla materia che gli dà corpo; parimenti la sola materia, senza forma, altro non sarebbe che un blocco di marmo amorfo. Ebbene, allo stesso modo, una pura Costituzione in senso formale è solo un libro inerte, al più descrittivo di un ordine ideale; così come una costituzione in senso materiale che pretendesse di prescindere da un organico progetto del suo funzionamento – quand’anche di natura meramente consuetudinaria, come accade in Gran Bretagna –  finirebbe per rivelarsi un gratuito esercizio di anarchia.
Costituzione in senso formale e costituzione in senso materiale non sono che due facce della stessa medaglia; pretendere che la seconda prevalga sulla prima si palesa esercizio ingenuo o, al più, malizioso; e così altrettanto ingenuo sarà arroccarsi sulla prima a guisa di difensori della patria, illudendosi che ciò basti a soffocare gli aneliti del diritto vivente.

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