"C'è la bellezza e ci sono gli umiliati.
Qualunque difficoltà presenti l'impresa, non vorrei mai essere infedele né ai secondi né alla prima" A.C.

sabato 20 novembre 2010

"Laicamente laici": riflessioni sul concetto di laicità

Pubblicato su "Il Consulente Re" on-line  di Gennaio 2010



Fu Robert Musil, nel suo sferzante cinismo, ad evocare il tarlo di una pericolosa deriva autodistruttiva che gli ideali sempre coverebbero nel proprio intimo, quasi si trattasse di un principio negativo di se stessi maliziosamente mescolato alla loro essenza, come una malattia congenita e mortale; egli affermò che “gli ideali hanno strane proprietà, fra le altre anche quella di trasformarsi nel loro contrario quando si vuol seguirli scrupolosamente”.
    Tra tutti i principi, le nobili ambizioni e le virtù che da questo rischio sono insidiati, nessuno si mostra più esposto al pericolo di una simile implosione dell’attuale concetto di “laicità”.
    Sarebbe lungo e noioso ripercorrere le diverse tappe storiche attraverso le quali il principio di laicità si è imposto come uno dei cardini costituzionali degli Stati di Diritto moderni; è necessario però riconsiderare criticamente un paio di aspetti che la frettolosa enfasi giornalistica finisce spesso per lasciare in ombra, consegnando alla coscienza sociale un’immagine un po’ distorta della nozione di laicità. Mi riferisco, in primo luogo, all’idea diffusissima, e ormai penetrata nel senso comune, che il principio di laicità dello Stato sia in buona sostanza una conquista delle rivoluzioni liberali, le quali lo avrebbero prima coniato e poi affermato a scapito delle mire teocratiche delle diverse Chiese europee, e in particolare di quella Cattolica.
    Ora, in relazione alla nascita, per così dire all’invenzione, del concetto di laicità, si segnala l’episodio, risalente addirittura al V secolo d.C., della lettera inviata da Papa Gelasio all’Imperatore Anastasio I, la quale recita: “Due sono, Augusto Imperatore, i poteri dai quali principalmente questo mondo è retto: la sacra autorità dei pontefici e la potestà regale“. Trascurando i dibattiti colti sorti intorno ad un’eventuale classificazione gerarchica tra l’auctoritas e la potestas secondo il diritto romano – la quale permetterebbe di ricondurre l’auctoritas al potere legislativo e la potestas all’esecutivo, così da insinuare il dubbio circa le mire teocratiche di Papa Gelasio – rimane il fatto storico dell’affermazione, da parte del Papa, di una radicale distinzione fra titoli di legittimazione all’esercizio di due poteri chiaramente separati già nella loro fase genetica: quello spirituale da una parte, quello temporale dall’altra. Né c’è da stupirsi del fatto che sia proprio un Papa a rendere una simile dichiarazione: nei Vangeli, infatti, il principio di laicità è sufficientemente delineato dalle parole di Cristo stesso, il quale non solo afferma: “Il mio Regno non è di questo mondo” (Gv 18, 36), ma ancor più esplicitamente, per ciò che qui ci riguarda: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Mt 22, 21).

    Passando all’analisi dell’affermazione storico-giuridica del principio di laicità dello Stato, questa si può attribuire effettivamente, nella sua compiutezza, al successo delle rivoluzioni liberali in Europa, in particolare alla rivoluzione francese e a quella inglese. Non si può però trascurare il fatto che il concetto di laicità, così come formulato negli stessi sistemi giuridici dei Paesi che per primi lo portarono alla ribalta, presenta delle contraddizioni e delle criticità che sarebbe ingenuo e controproducente nascondere dietro i trionfalismi di un’ideologia allora solo antagonisticamente sbandierata .
    La laicità, infatti, è sempre stata declinata in Francia secondo schemi rigidamente separatisti, i quali se da un punto di vista meramente nomenclatorio hanno suggerito persino la definizione di “laicità negativa” – che rinvia quindi al disinteresse, da parte dello Stato, per la questione religiosa tout court – sul piano sostanziale hanno finito talvolta per mortificare le diverse espressioni della libertà di culto.
    Quanto all’esperienza inglese e all’effettività del principio di laicità all’interno di quell’ordinamento, basti pensare al fatto che ancora oggi la Regina, oltre al suo ruolo istituzionale interno, ricopre al contempo la carica di… Governatore Supremo della Chiesa Anglicana!
    Non esiste quindi, rispetto al principio di laicità, un assetto politico-istituzionale ideale, in grado di garantire, al contempo, tanto la massima libertà di culto e di manifestazione del credo religioso, quanto la netta separazione del potere temporale dalla sfera delle attribuzioni spirituali riservate alle autorità religiose.
    Superfluo riferire dell’ Italia: benché qui la notevole diffusione del cattolicesimo tra la popolazione sia indiscutibile, e la legislazione, sia costituzionale che pattizia in materia di Diritto Ecclesiastico, sia giudicata dagli studiosi tra le più equilibrate ed efficaci del mondo, restano sempre vive le polemiche circa l’affermata ingerenza della Chiesa Cattolica – che del resto ha il suo cuore pulsante a Roma – nelle faccende politiche.
    Questione annosa, quindi, quella della laicità dello Stato: se per secoli i “due soli” si sono contesi la supremazia nella guida degli uomini, nell’età moderna e persino nell’epoca contemporanea un millantato equilibrio formale tra i due poteri, fondato sulla separazione reciproca, non è stato sufficiente a garantire non solo la libertà di tutti – si pensi alle diverse nazionalizzazioni dei beni ecclesiastici operate in Europa e alle Leggi Siccardi  in Italia (1850-1855) – ma persino la pace tra i popoli – basti pensare agli accessi d’odio religioso che si sono manifestati in occasione delle guerre dei Balcani. 
    Oggi un’Europa incerta sulla propria identità è chiamata a resistere alle insidie del multiculturalismo, fenomeno di rimescolamento etico, religioso e culturale che rischia di minare le fondamenta delle nostre democrazie. Gli attacchi terroristici sferrati dai gruppi più integralisti di un Islam magmatico ed eterogeneo, col quale pertanto risulta difficile persino dialogare, non sono che la punta dell’iceberg di un conflitto che riguarda in realtà visioni apparentemente inconciliabili dei rapporti tra fede e diritto.

    Bisogna ammettere che in alcuni frangenti l’Occidente, soprattutto la vecchia Europa, è tentato di dolersi dell’incapacità di difendersi dalla penetrazione islamica secondo gli stessi schemi, giuridicamente e religiosamente monolitici, ai quali è informata la cultura musulmana. A volte si ha l’impressione che la mancata comprensione, da parte nostra, del contenuto profondo e autentico del principio di laicità possa indurci all’aberrazione di rimpiangere assetti politico-istituzionali arcaici e polverosi, dai quali ci siamo faticosamente e meritoriamente affrancati soprattutto grazie alle categorie giuridiche greco-romane e all’impronta giudaico-cristiana, entrambi cromosomi insopprimibili del nostro DNA culturale.
    Anche alcune vicende recentissime, ad esempio la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche italiane e il Referendum sulla costruzione di nuovi minareti in Svizzera, ci hanno restituito l’immagine di un’Europa divisa e balbettante in tema di regolamentazione delle espressioni religiose.
    E’ innegabile che molte e molto divergenti tra loro sono le opinioni espresse da più parti in ordine al problema della convivenza tra le diverse fedi in Europa, e diversissime sono pure le ricette proposte per la sua soluzione. Dimostreremmo tuttavia di aver appreso assai poco dalla nostra storia se ci lasciassimo disorientare da questa palese molteplicità di vedute: la sfida attuale consiste piuttosto nel mostrarci in grado di rispondere alla violenza conformista e ghettizzante del fondamentalismo secondo il modello lungimirante, inclusivo e dialogante proprio del concetto genuino di laicità.                                          
    La parola “laicità”, d’altra parte, non affonda le sue radici nella distinzione canonistica fra clero e laicato, ma più genuinamente – più laicamente verrebbe da dire – nel sostantivo greco laòs, il quale sta ad indicare semplicemente il popolo della pòlis, una moltitudine policroma eppur capace di esprimere, attraverso le forme del diritto, una democrazia compiuta, fondata semplicemente sulle regole razionali della consuetudine e del buon senso – oggi potremmo dire del diritto naturale, purché si rinunci a quel poco di arroganza che talvolta si cela dietro quest’espressione.
    A ben guardare, infatti, gli anacronismi giuridici che l’integralismo islamico porta con sé si neutralizzano naturalmente al primo contatto con la civiltà del diritto: il reato d’apostasia, la subordinazione della donna e la poligamia, solo per fare degli esempi, non sono già di per sé in contrasto con il principio d’uguaglianza, con la libertà di pensiero e di coscienza? In relazione a simili distorsioni del sistema giuridico islamico – spesso affetto dalle categorie passatiste di una morale religiosa da reinterpretare – l’evocazione delle nostre categorie religiose e l’aspirazione ad un recupero dell’orgoglio cristiano possono suonare vagamente strumentali e inautentiche, cioè in fondo clericali: l’opposto di una schietta laicità.
    Del resto la logica, realmente laicale, dell’astensione dall’esercizio di un giudizio di matrice identitaria è profondamente radicata nel Vangelo, soprattutto nella critica al fariseismo; almeno questa a me pare la principale indicazione del “chi è senza peccato scagli la prima pietra” (Gv 8,7).
    La via del dialogo aperto, accompagnato da una doverosa intransigenza sui principi d’uguaglianza cui sappiamo di non poter abdicare, manifesta di per sé la profondità delle nostre radici culturali, che attingono inevitabilmente la propria linfa dall’humus perenne del diritto e della ragione, cioè in fondo dai concetti di libertà e di carità. Sono queste le grandi strutture della cultura occidentale dalle quali non possiamo non trarre il coraggio necessario per affrontare le sfide del futuro: a fronte di quest’abissale sapienza, per sempre inscritta nella nostra identità, le distinzioni effimere tra clericali e laicisti ci condannano ad una divisione interna che c’indebolisce proprio nella misura in cui ci priva della lucidità di avere ben presente chi siamo davvero.
    In questo senso lo stesso concetto di laicità ha bisogno oggi di essere laicamente reinterpretato, cioè rielaborato con una maturità che ci renda capaci di ricollegarlo alle nostre origini, alla nostra forza, e non alle nostre debolezze, troppo spesso dovute ad un’incomprensibile tendenza alle differenziazioni bigotte e ai conflitti fratricidi.

Nessun commento:

Posta un commento